Il giusnaturalismo: storia ed evoluzione

Il giusnaturalismo: storia ed evoluzione

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Di Gianluca Giannini

Il primo passo da compiere è quello di andare a trovare una definizione di giusnaturalismo, ovvero di questo diritto nato insieme a noi. Questo passaggio – non semplicissimo – è, per certi versi, persino preliminare, anche e soprattutto perché pochi concetti sono tanto ambiguamente polisensi quanto quello di giusnaturalismo e, quindi, di diritto naturale. Questa varietà e molteplicità è la testimonianza concettuale e storica della pluralità delle posizioni assunte dall’”idea di diritto naturale” in situazioni morali diverse, che solo se conosciute storicamente nella loro specifica individualità possono permettere cognizioni non vaghe e approssimative. Questa idea, infatti, attraverso i secoli si è caricata di significati anche intimamente e sottilmente contrastanti, fino a distinguersi in ramificazioni non riconducibili alla dubbia e scolorita unità originaria; tuttavia, proprio il suo correre fra epoche diverse le ha donato almeno un aspetto unitario, legittimando, per questa apparenza di unità l’impiego corrente di una denominazione comune, unitariamente significante.

Il giusnaturalismo è quella dottrina filsofico-giuridica che distingue – nel senso di riconoscere, quindi riconosce – un diritto valido per natura, intrinseco alla ragione umana, anteriore a un diritto positivo voluto dagli uomini. In altre parole, il giusnaturalismo è la dottrina secondo la quale esiste e può essere conosciuto un “diritto naturale” (ius naturale), ossia un sistema di norme di condotta intersoggettiva diverso da quello rappresentato e costituito dalle norme dello Stato. Questo tipo di diritto ha valore di per sé, è anteriore e superiore al diritto positivo e, in caso di contrasto con quest’ultimo, deve persino prevalere su di esso.
Il giusnaturalismo, perciò, è la dottrina antitetica a quella detta positivismo giuridico” secondo cui è diritto soltanto quello posto dallo Stato, e la validità di esso è indipendente da ogni suo riferimento ad un complesso extra-fisico.

Rispetto alle varie concezioni del diritto naturale è plausibile dire che nella storia della filosofia si siano affacciate almeno tre versioni fondamentali:

• quella di una legge stabilita per decisione di una volontà divina, e dunque rivelata agli uomini;
• quella di una legge “naturale” in senso stretto, nel senso di connaturata fisicamente a tutti gli esseri animati;
• quella di una legge dettata dalla ragione e specifica, perciò, dell’uomo, che la ritrova autonomamente dentro di sé.

Sono, queste tre versioni, concezioni sostanzialmente eterogenee e, per certi versi, persino contrastanti tra di loro: tuttavia tutte e tre hanno in comune l’idea di un sistema di norme logicamente anteriori ed eticamente superiori a quelle dello Stato, al potere del quale esse costituiscono un limite invalicabile.
Si è detto, però, dell’esistenza di varie concezioni del diritto naturale. Conviene, anche per capire meglio l’articolazione di queste tre versioni ora richiamate, ripercorrere alcuni momenti della storia di questa “idea”, per vedere cosa viene “ereditato” e trasmesso”, cosa viene rimodulato, e cosa viene elaborato.

Prime manifestazioni teoriche di giusnaturalismo si hanno nell’antica Grecia. “Tracce di giusnaturalismo” sono presenti in Platone (nei dialoghi politici, per lo più), fondamentalmente perché il suo idealismo, in quanto presenta la tensione dei fenomeni verso le idee come universale aspirazione ad un perfezionamento di ogni essere al fine essenziale che è suo e che è racchiuso nelle ragioni della sua idealità, si presta ad essere considerato finalistico. Nella teoria del Bene, il Bene non manca di essere presentato, infatti, come fine assoluto, in cui l’intero mondo delle idee dovrebbe assommarsi nella sua conclusiva unità.
Se l’idea di un diritto naturale è incidentalmente presente anche in Aristotele, il quale parla “di un’alleanza tra fisica e metafisica”, è con gli Stoici che è sostanzialmente elaborata. Per gli Stoici la natura è governata da un’immanente legge universale razionale, e l’uomo deve “aspirare a vivere conformemente a natura”, anche per quel che attiene le relazioni giuridiche.
Conosciamo la dottrina stoica a questo proposito soprattutto dalla “divulgazione” che ne ha compiuto Cicerone, in pagine che hanno esercitato un influsso capitale sul pensiero cristiano dei primi secoli, su quello medievale e persino sulle prime dottrine giusnaturalistiche moderne. In un celebre passo del De re publica Cicerone ha sostenuto l’esistenza di una legge “vera”, conforme alla ragione, immutabile ed eterna, che non varia secondo i vari paesi ed i vari tempi, e che l’uomo non può violare se non rinnegando la propria natura umana.

Riportato ed accolto da uno dei Padri della Chiesa, Lattanzio, questa determinazione ciceroniana ha influenzato grandemente il pensiero cristiano di cultura latina che, quindi, ha fatto sua l’idea di un diritto naturale dettato dalla ragione. Ciò, però, in seno alla stessa Patristica ha suscitato gravi problemi di ordine teologico, sia per la difficoltà di spiegare la coesistenza di una legge naturale e di una legge rivelata, sia perché l’ammissione della presenza nell’uomo di una legge morale autonoma avrebbe messo in discussione la necessità della Grazia.

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