ELETTROGEOBIOLOGIA: curarsi curando la nostra casa

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Radioattività: radon (parte 5 di 9)

 

Nelle precedenti uscite di Salute Plus, il dott. Sacchi ci ha guidato in un percorso volto a conoscere l’inquinamento elettromagnetico e i pericoli che esso comporta per l’organismo. In questo numero, si parla di radioattività, di radon e di come avviene l’esposizione a questo gas di origine naturale.

Quando cariche elettriche o particelle sono sottoposte ad una forza che inverte ciclicamente la loro direzione e la cui frequenza è altissima (sopra i 3.000THz e cioè mille miliardi di Hertz), si può parlare di radiazioni ionizzanti. Queste trasportano abbastanza energia da liberare elettroni da atomi o molecole e per questo sono estremamente dannose per l’organismo dell’essere umano.

Alcuni isotopi naturali (atomi dello stesso elemento chimico ma con diverso numero di neutroni) e quasi tutti gli isotopi artificiali, presentano nuclei instabili (radionuclidi), a causa di un eccesso di protoni e/o di neutroni. Tale instabilità provoca la trasformazione spontanea in altri isotopi e a questa trasformazione si accompagna all’emissione di radiazioni ionizzanti costituite da particelle cariche (α= protoni e neutroni, β=elettroni) e/o radiazioni elettromagnetiche (γ).

 

Sicuramente la radioattività a cui si è maggiormente esposti è causata da un gas di origine naturale denominato radon. È un gas (nobile), pesante, poco attivo chimicamente che quindi non si deposita sui polmoni. Le sostanze pericolose invece sono i suoi figli (solidi). Questi sono molto reattivi, vivono per pochi minuti o secondi, e poi si trasformano emettendo radiazioni (α). Quando li respiriamo, le particelle più piccole giungono fino ai polmoni e, contrariamente al radon, si fissano sui tessuti. Il radon può essere emanato dalle rocce, dai suoli e da materiali da costruzione di origine naturale o artificiale (ad es. fosfogessi, cementi pozzolanici, cementi con ceneri di carbone, ecc.) o, in percentuale molto minore, dalle acque.

Quando il radon si diffonde all’interno di edifici, a causa del limitato ricambio di aria, tende a concentrarsi.  L’efficientamento energetico, infatti, ha ridotto drasticamente la ventilazione degli ambienti, in particolar modo nei piani bassi e locali interrati e qui si rilevano concentrazioni maggiori dato che oltre il 50% di tale gas proviene dal suolo.  Di notte la sua concentrazione è maggiore che di giorno e d’inverno è maggiore che d’estate; è per questo che in casi di contaminazione i rilevamenti da parte di ditte specializzate vengono fatti per periodi molto lunghi (sono necessarie almeno due misure semestrali consecutive, una nel periodo invernale ed una nel periodo estivo). Nelle aree a rischio (superiore ai 40 Bq/m3), per nuovi edifici, ci sono interventi da adottare in fase di costruzione ed essi sono sempre consigliati anche se non obbligatori.

 

 

Sempre in tali aree, per edifici esistenti, è necessario appurare il rischio e quindi è necessario un monitoraggio preliminare. Le tecniche di controllo dell’inquinamento indoor da gas radon possono essere schematicamente riassunte in barriere impermeabili (evitare l’ingresso del radon all’interno degli edifici con membrane a tenuta d’aria); depressione alla base dell’edificio (intercettare il radon prima che entri all’interno degli edifici aspirandolo per espellerlo poi in atmosfera); pressurizzazione alla base dell’edificio (deviare il percorso del radon creando delle sovrappressioni sotto l’edificio per allontanare il gas).

Per chi non avesse intenzione di adottare interventi invasivi e costosi ci sono comunque delle buone strategie che possono aiutare ad evitare il peggio. Nelle aree a rischio, sarebbe opportuno mantenere una buona e continua ventilazione negli edifici e, soprattutto, nelle zone a contatto con il terreno (garage, cantine, interrati) che generalmente sono le meno arieggiate. Se non si vogliono far rilevare le concentrazioni di gas radon, nei locali interrati non soggiorniamo in modo continuativo e assolutamente non dormiamoci. Le finestre devono essere aperte almeno tre volte al giorno, iniziando l’apertura dai locali posti ai livelli più bassi (anche interrati o seminterrati) e la chiusura da quelli posti ai piani più alti, per limitare l’effetto “camino”. Sarebbe bene, nei locali interrati, lasciare delle feritoie che consentano una costante ventilazione, anche minima. Una discreta soluzione potrebbe essere installare un impianto di Ventilazione Meccanica Controllata con recupero di calore.

 

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